Chi mi chiedesse se prima del 1998 avessi anche la minima sensazione di conoscenza del Giappone come nazione, popolo o semplicemente territorio, risponderei con molta sincerità di no. Non conoscevo la storia di quella nazione a parte quei pochi tratti che ce la fanno incontrare nei libri di scuola studiando il secondo conflitto mondiale. Non ne conoscevo la cultura popolare, se non per quei luoghi comuni e sterotipati che si concludono nelle tre figure di Samurai, Gheisha e sushi. E, comunque, anche in questi casi era meglio non approfondire. Ed infine, non ne conoscevo..no! anzi, in geografia me la cavavo, e quindi, se non altro, ne conoscevo l’esatta ubicazione geografica! Magra – quanto solidissima- consolazione. Quando, poi, nel vicino 2004 ho affrontato il mio primo viaggio in Giappone, ho potuto constatare che la mia conoscenza della geografia era corretta (santa consolazione!) e che la mia ignoranza era epocale (nel senso che abbracciava tutte, ma proprio tutte, le epoche di quel paese). A dire il vero, avevo cercato di informarmi prima di arrivare sul suolo nipponico. Come tutti i viaggiatori di questi tempi, avevo raccolto informazioni, esperienze e curiosità su internet cercando di farne un sistema razionale e coerente. D’altro canto, ero molto combattuto tra la voglia di conoscere tutto prima e quella voglia di potermi stupire ancora difronte a qualcosa che non si conosce. E poi, diciamocelo chiaramente si può vivere anche nell’ignoranza, anche se si sta un po stretti a volte…spesso…
Mese: giugno 2014
Poche parole..

Sake – Michiba Restaurant, Ginza Tokyo
C’è un antico proverbio orientale che dice “Invece di molte parole, meglio poche. Invece di poche parole, meglio il silenzio”. In Toscana, senza troppi romanticismi e con quel classico sarcasmo che ci ricorda di essere un po’ maledetti, diremo che ci sono occasioni in cui una parola è poca e due sono troppe. La prima volta che mi sono recato in Giappone essendo totalmente a digiuno della lingua che mi circondava spesso, ma anche volentieri, mi sono ritrovato a confrontarmi con il mio silenzio che era tutt’altro che espressione di una assenza. A dire il vero, anche oggi che capisco un poco di più della lingua nipponica, preferisco spesso cedere il passo all’ascolto, quasi fosse un esercizio per non dimenticare che nella comunicazione se non si è pronti al primo passo meglio lasciare perdere.