Gli ingredienti del sake: l’acqua.

Museo del Sake a Kyoto.

Museo del Sake a Kyoto.

Il sake giapponese è composto per l’80% di acqua. E’ quindi anche la qualità dell’acqua che determina la qualità del sake. L’acqua interviene a più riprese nel processo di produzione del sake. E’ un elemento presente dal primo lavaggio del riso (senmai) fino ai successivi passaggi (shubomoromi e nei passaggi c.d. sandan jikomi) in cui lo stesso viene lavorato sempre in ammollo o in miscela con l’acqua stessa. D’altronde, l’acqua può risultare determinante per creare nuovi sapori nel sake o per  bilanciarne il sapore complessivo. Ed, infine, l’acqua viene aggiunta prima del filtraggio e dell’imbottigliamento per abbassare il naturale grado alcolico, frutto della fermentazione multipla, da 20 a 15-16% gradi alcolici.

Senmai-Shinseki. Museo del Sake a Kyoto.

Senmai-Shinseki.
Museo del Sake a Kyoto.

L’acqua usata per la produzione del nihonshu deve preferibilmente contenere in quantità alcuni minerali quali il potassio, i fosfati, il calcio ed il magnesio. Questi elementi sono necessari per sostenere la diffusione ed il lavoro dei lieviti dall’iniziale shubo (il primo riso fermentato che costituisce la base nella fermentazione multipla) al moromi: per progredire in modo naturale in un buon sake. Se, viceversa, ci sono bassi livelli di potassio, fosfati e magnesio, i lieviti non riescono a moltiplicarsi in modo sufficiente e così velocemente come dovrebbero, rompendo il delicato equilibrio dell’intero processo facendo degenerare la fermentazione e innescando un processo irreversibile che porta a guastare l’intera produzione. Anche laddove l’acqua contenga ferro (in misura superiore a 0,2mg/L) o manganese è da ritenersi che non sia adatta alla produzione del sake. Infatti, il ferro od il manganese  tendono per ossidazione a cambiare il colore del sake oltre che a privarlo sia di un buon aroma che di una buona fragranza. In specifico, la presenza di manganese nell’acqua produce una iniziale decolorazione del sake, salvo poi quando lo stesso viene esposto alla luce del sole, allorché i raggi ultravioletti  producono una naturale reazione chimica per cui il sake tende ad opacizzarsi. Detto tutto questo, si può ora comprendere la propensione a collocare le cantine vicino a sorgenti o fiumi o a dotrne di pozzi a loro uso e consumo. La ragione è una soltanto: poter usare abbondanti quantità di acqua e di buona qualità. Durante le degustazioni o le visite che le cantine organizzano, è normale poter assaggiare anche l’acqua sorgiva che viene utilizzata nella produzione in quanto questa può rappresentare un elemento di vanto e di distinzione rispetto alle molte varietà di sake prodotto, ma, anche, vuol  ricordare come il nihonshu abbia, senza ombra di dubbio un’anima, genuina e naturale.

Tre sono le acque sorgive più famose in Giappone: la Miyamizu, la Gokusoi e la Fukuryusui.

La Miyamizu fu in un certo senso scoperta da Tazaemon Yamamura intorno alla fine del periodo Edo (1603-1868). Tazaemon era proprietario di due cantine in due distretti diversi, ma molto vicini, l’una produceva in Nishinomiya e l’altra in Uozaki nella prefettura di Hyogo. A parità di qualità di riso, di metodi di lavorazione e di lavoratori impiegati, il sake della cantina di Nishinomiya risultava sempre di miglior qualità rispetto all’altra di Uozaki. Tazaemon fece diversi tentativi per eguagliare le due produzioni di sake, senza riuscirvi finchè non comprese che era la qualità dell’acqua che le caratterizzava e differenziava l’una dall’altra. La Miyamizu, la cui sorgente si trova sul monte Rokko nella prefettura di Hyogo appunto, è infatti un’acqua minerale ricca di potassio e fosfati che nel processo di produzione del sake intervengono per sostenere e sviluppare l’attività dei lieviti nella fermentazione. La cantina di Tazaemon Yamamura, la Sakuramasamune, è ancora oggi tra le più importanti della prefettura di Hyogo.

La Gokosui è un’acqua che troviamo a Fushimi nella città di Kyoto, zona da sempre riconosciuta per la produzione di sake. Si narra che nel periodo Heian(794-1185) una sorgente sgorgò in modo naturale all’interno del complesso di templi tanto che fu subito designata con il nome di Gokosui ovvero come acqua santa e aromatica. Pare che anche lo Shogun Tokugawa volle bagnare i suoi tre figli nell’acqua Gokosui come una sorta di benedizione. Ancor oggi la Gokosui viene riconosciuta come una delle acque sorgive più interessanti per la produzione di un certo tipo di sake. In effetti, se la Miyamizu, grazie alla ricchezza di minerali in essa contenuti e quindi alla sua durezza (in termini fisici), caratterizza il sake per un sapore pieno, asciutto e dai forti aromi, la Gokosui, invece, ha dei connotati più delicati e morbidi.

La Fukuryusui, infine, è un’acqua sorgiva che deriva direttamente dalle piogge e dalle nevi del Monte Fuji e che viene naturalmente filtrata dalla roccia lavica. Questo filtraggio naturale permette di trovarvi un giusto bilanciamento di minerali quali il calcio ed il magnese per un sake dal sapore  morbido e abboccato.

Orbene, questo rapido elenco non vuol essere esaustivo, ma solo sottolineare quanto di più importante sottende la produzione del sake ovvero che ogni sake è fondamentalmente espressione della natura e della cultura del luogo ove sorge la sakagura (cantina). Invero, la storia del sake giapponese insegna che le cantine si sono sempre impegnate nella ricerca di nuovi bilanciamenti tra gli elementi coinvolti nella fermentazione con ciò che  hanno a loro disposizione in loco sia esso il riso o l’acqua. I Toji sono ben consapevoli che, per creare sake dai gusti anche raffinati, devono potersi affidare ed ispirare alle qualità delle acque sorgive di cui devono conoscere le proprietà, sempre con un occhio di riguardo per la genuinità degli ingredienti utilizzati e salvaguardando la ricchezza e l’equilibrio di aromi del tutto naturali.

Degustazione di Natale.

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Junmai Ginjo Senju

Quale miglior occasione di aprire un regalo se non il proprio compleanno? E poco importa se il regalo era già scartato, tanto non è il contenitore che fa la differenza, quanto piuttosto il contenuto. Il paesaggio è degno di nota, ma questa volta in notturna. Siamo un po fuori dagli schemi, in cima al piazzale, noi con questa bottiglia e due calici e loro, vicini occasionali, una coppia di nuovi sposi stranieri intenti a completare il servizio fotografico che li ritrarrà per sempre felici. Il nihonshu porta il mio nome scritto in caratteri Kanji. Grazie Masa. Bouquet molto ricco di riso, aspetto giallo paglierino, sentori affumicati. Molto elegante all’assaggio, secco, equilibrato. Ottimo l’abbinamento con formaggi stagionati. Il seimaibuai è pari a 55%, il riso è Gohyakumangoku, gradazione al solito tra i 15 ed i 16 gradi, acidità +4.5, amino 1.6, preferibilmente servito freddo. Questo il sito del produttore.

Ochoko

Janomeno kikijoko

Auguri!

Auguri!

La storia del Nihonshu. Parte terza.

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Bambole giapponesi dall’Expo di Vienna 1873

 

A seguito della riapertura commerciale del Giappone verso i paesi occidentali ed in coerenza con la volontà di promuovere gli scambi, nel  1873 alla fiera Internazionale di Vienna (qui), la delegazione giapponese portò con se manufatti tradizionali ed  il nihonshu che fece così il suo ufficiale debutto internazionale. Da quel momento il sake giapponese cominciò ad essere esportato in Europa e Russia come nel sud est asiatico. D’altro canto in Giappone, le bevande alcoliche furono oggetto di una contrazione nei consumi causata dalla forte tassazione all’interno di un sistema di riforme tese a risanare le casse dello Stato attraverso il prelievo forzoso dai generi alimentari di prima necessità o di larga diffusione. Dal punto di vista della produzione, nei primi anni del novecento le cantine si dotarono di cisterne fatte di ferro smaltato al cui interno veniva stoccato il sake. Queste nuove cisterne apportarono il benefico effetto di mantenere inalterato il sake sia dal punto di vista igienico sia dal punto di vista del sapore. Le precedenti botti di cedro giapponesi, infatti, potevano cedere al sake in esse contenuto sapori di cui si doveva necessariamente tenere conto nel prevedere quale gusto avrebbe avuto il sake alla fine della produzione. Ed è sempre in questi anni che venne fondato lo Jozo Shikenjo, (qui) Istituto Nazionale di Ricerca,  al fine di raccogliere dati ed informazioni sulla produzione per definire giusti criteri di tassazione, ma anche per sviluppare ed affinare il metodo tradizionale con il contributo della moderna ricerca scientifica. A questo istituto si deve, tra le altre cose, la ricerca e lo sviluppo dei lieviti utilizzati nella fermentazione del sake; l’introduzione dello Yamahaimoto; l’istituzione di un concorso nazionale per la selezione dei migliori sake ( Zenkoku Shinshu Kanpyo-kai).

Negli anni dal 1926 al 1989 si assiste alla definitiva modernizzazione dei metodi di produzione con l’introduzione delle tecniche e dei macchinari che vengono utilizzati ancora oggi. Innanzitutto, vengono inventati i silos verticali all’interno dei quali il riso veniva ( e viene ancor’oggi) pulito attraverso ripetuti passaggi al fine di ottenere una riduzione e graduale spoliazione da grassi, proteine e minerali in eccesso. Certamente, già in precedenza si procedeva in diversi modi alla macinatura dei chicchi di riso, ma è solo con l’introduzione dei silos verticali che si poté arrivare ad una riduzione  finanche del 70% del chicco rendendo possibile un grado di affinamento del riso e, di conseguenza, del sapore del sake tale da dare luogo alla nuova categoria detta Daiginjoshu, ovvero un sake raffinato e di qualità superiore. Durante la seconda guerra mondiale, la produzione di sake subì una drastica riduzione e molte cantine furono costrette a chiudere. La scarsità di riso, infatti, e la conseguente volontà del governo di riservarlo alla popolazione, costrinsero in alcuni casi i produttori di sake a cessare la propria attività ed in altri ad aggiungere alcol e glucosio ben oltre il consentito per arricchire ed aumentare le quantità prodotte a scapito della qualità. Invero, questa pratica e la introduzione di bevande alcoliche straniere porterà ad una graduale diminuzione del consumo di sake proprio nella sua patria.