Il sake giapponese viene prodotto con elementi genuini e naturali, senza l’aggiunta di additivi, conservanti o coloranti. Sapientemente combinati tra loro il riso, l’acqua, il lento lavoro dei lieviti e l’esperienza degli uomini portano il sake in maturazione. Non si può, quindi, parlare di sake se prima non si accenna, seppur brevemente, al riso ovvero al secondo degli elementi principali se si guarda alla quantità utilizzata. Bisogna, anzitutto, distinguere due varietà di riso: l’africano e l’asiatico. Tralasciando in questa sede il primo, che ha un uso prevalentemente alimentare, prendiamo in considerazione invece quello asiatico. Quest’ultimo si distingue in tre generi principali che sono il giapponese, l’indiano e l’indonesiano. E ancora e per finire: all’interno del giapponese, poi, vengono ulteriormente distinti, a seconda del contenuto di amido, il riso detto uruchimai che è il riso che viene usato per la produzione del sake ed il mochigome che è caratterizzato da un sapore più dolce ed è utilizzato nel sud est asiatico sopratutto per la preparazione di pietanze tipiche (okowa, ohagi…). Nel riso del tipo uruchimai diventa importante per la sua caratteristica di non essere appiccicoso una volta cotto. Questa è una conseguenza della sua struttura molecolare. Inoltre in alcune tipologie di questi riso vi può essere la presenza di una particella di amido più densa al centro del chicco di riso ovvero il cosiddetto shinpaku che rappresenta il cuore del chicco. Lo shinpaku si caratterizza per una parte più opaca all’interno del chicco di riso ed è quella parte, composta di amido, che svolge una parte determinante nella produzione del koji.
Il singolo chicco di riso è composto per il 70-75% da carboidrati; il 7-8% da proteine; il 2% da lipidi e dall’1% da fosforo e potassio. Questi minerali aiutano i microrganismi nel processo che precede la fermentazione del nihonshu. Infatti, nella prima fase di lavorazione, si va a creare il c.d. kome koji, ovvero la parte di riso in cui viene immessa e lasciata lavorare una muffa, l’Aspergillus oryzae, in modo tale che si producano gli enzimi che modificheranno l’amido in zuccheri; nella seconda fase il riso, così mutato, diventa terreno fertile per innescare il lavoro dei lieviti per la definitiva fermentazione. Comunque, questo passaggio sarà oggetto di un specifico paragrafo più avanti. Per ora basti sottolineare come la scelte del riso non è demandata al caso, ma deve rispettare precise regole ed è sottoposto ad un rigoroso ed attento esame sia da parte dagli uffici locali del ministero dell’agricoltura sia del proprietario della sakagura quanto del toji. Invero, non tutto il riso prodotto, ma solo quello che rispetta determinate specifiche viene utilizzato nella produzione del sake (all’incirca il 5% del riso prodotto in Giappone) e di questo a sua volta solo un ulteriore piccola percentuale (pari all’1%) corrisponde ai criteri del disciplinare che definisce le tipologie di premium sake. Nel 1992, infatti, è stato formulato un vero e proprio disciplinare per stabilire quale riso sia da preferire per la produzione dei premium sake, categoria che comprende otto tipologie di sake e che si distingue dai sake ordinari per i particolari passaggi della produzione a cui sono appunto tenuti dal disciplinare. Tale disciplinare prende il nome di Tokutei meisho shu. I criteri perché il riso possa essere designato shuzo-kotekimai sono: il peso specifico (senryuju) di mille chicchi di riso deve essere pari a 25-30 g; deve essere presente lo shinpaku (la parte bianca opaca nel centro del chicco) per supportare e agevolare la fermentazione. Il riso, poi, deve contenere un basso tenore di lipidi e proteine e deve essere caratterizzato da una buona capacità di assorbire l’acqua. Infine, una volta subìto il processo di cottura a vapore (Mushi) il riso deve rimanere duro all’esterno e morbido all’interno. E’ vero, d’altronde, che ci sono molti sake giapponesi che non sono fatti con questo specifico tipo di riso. Per queste altre tipologie di riso si utilizza il termine ippanmai , se riso da tavolo, o genericamente sakamai, per distinguerlo da quello che soddisfa le caratteristiche del disciplinare del shuzo-kotekimai. La designazione ufficiale di shuzo-kotekimai ad oggi ricomprende circa un centinaio di varietà diverse di riso, frutto spesso anche di incroci. Il più rinomato è di certo lo Yamada Nishiki che cresce nelle prefetture di Hyogo, Fukuoka, Okayama, Saga e Kumamoto. Altrettanto famosi sono il Gohyakumangoku, il Miyama Nishiki, Kinmon Nishiki, lo Hattan Nishiki e lo Omachi solo per fare qualche esempio. Ad oggi, la ricerca continua e si sta sviluppando e concentrando nella riscoperta e tutela delle varietà autoctone delle diverse zone del Giappone ed anche nell’utilizzo di riso biologico nella produzione del nihonshu.