Il tradizionale sake giapponese, o nihonshu, è un prodotto artigianale del tutto naturale privo di additivi chimici o di sostanze artificiali che possano alterarne la struttura. Nel nihonshu la natura fa il suo decorso che si manifesta nell’azione di microrganismi che hanno origini preistoriche da molto prima che l’uomo facesse la sua comparsa sulla Terra. E’ nelle cantine che la natura da una parte ed il lavoro e l’esperienza degli uomini dall’altra si coniugano in un rapporto di reciproca collaborazione, con un ritmo dettato dalla prima e seguito con attenzione dai secondi.
Microrganismi. L’Aspergillus Oryzae.
Dopo essere stato coltivato e raccolto, il riso subisce come una sorta di purificazione venendo lavato, molato e cotto a vapore per un breve lasso di tempo in modo tale da essere predisposto ad accogliere i microrganismi che danno origine alla trasformazione del riso in kome koji prima e nell’ulteriore fermentazione parallela dopo, fino alla definitiva maturazione in nihonshu. I protagonisti di questa fase sono, quindi, microrganismi elementari che da millenni sono utilizzati per la produzione di cibo e bevande determinandone la qualità in fatto di aromi e sapori. Il fatto che si tratti di un certo tipo di muffa, lieviti e batteri lattici non deve scandalizzare. In fondo sono loro che che provocano e guidano il delicato processo della fermentazione che sta alla base di cibi quale il miso, la salsa di soia ed il nihonshu appunto. Proprio come accade per produrre il vino o la birra, così anche per il sake giapponese. Per quest’ultimo, in particolare, il primo microrganismo ad entrare in scena è un fungo ovvero una muffa molto conosciuta fin dall’antichità: l’Aspergillus Oryzae.
