Rispetto alle classificazioni date del nihonshu quella che ha avuto più larga diffusione ed è riconosciuta a livello mondiale è quella relativa al metodo di produzione e che trova la sua fonte ufficiale normativamente descritta nella Tokutei Meishoshu. Abbiamo visto come in questa si distinguono i Junmaishu (Junmaishu, Tokubetsu Junmai, Junmai Ginjoshu e Junmai Daiginjo) ed i Honjozoshu (Honjozoshu,Tokubetsu honjozoshu, Ginjoshu e Daiginjoshu) a seconda degli ingredienti e del grado di raffinazione del riso. Per gli amanti delle categorie prendiamo ora in considerazione altri elementi (la pressatura o la pastorizzazione, ad esempio) e profili (gusto olfattivi, temperatura di servizio…) per cui possiamo andare a proporre ulteriori distinzioni tra i nihonshu che si trovano in commercio.
Una prima distinzione ci porta fino alla legislazione giapponese in materia di tassazione sui liquori dove troviamo un importante richiamo alla pressatura del moromi come elemento rilevante ai fini dell’esatta individuazione del tipo di prodotto alcolico e della sua conseguente tassazione. La normativa giapponese, infatti, individua nella pressatura il punto discriminante ed il passaggio obbligato per cui si possa propriamente parlare di sake giapponese.Per legge infatti il sake per essere definito tale deve essere filtrato. Per filtraggio si intende il passaggio attraverso la pressa e quindi la separazione tra la parte solida e quella liquida. Una volta operato questo, il sake può dirsi Seishu, filtrato, e questa dicitura deve apparire sull’etichetta. E questo ci permette di introdurre due sake, uno “contemporaneo” e l’altro “storico”: il Nigorizake ed il Doburoku. Da questo angolo visuale, solo il Nigorizake si può ricomprendere nella categoria del sake giapponese in quanto sarebbe il frutto della pressatura del moromi. In effetti, il moromi subisce una pressatura, a maglie larghe nei sacchi in cui è racchiuso. In questo modo una parte residua e consistente del moromi rimane e va a comporre una parte importante del nigorizake. In questo modo quello che si ottiene è una mistura composta da una parte solida semi-filtrata, una sorta di mosto di riso e lieviti, ed una liquida ed alcolica frutto della fermentazione. Questo in un primo metodo. Vi è poi un secondo metodo che prevede l’aggiunta successiva alla pressatura di una parte del mosto di riso in modo tale da controllarne la consistenza finale. Il Nigorizake è caratterizzato da un sapore dolce e dal medio contenuto alcolico. Viceversa il Doburoku non subendo alcuna pressatura e neppure un minimo filtraggio si presenta come un composto ben più consistente ed amalgamato di riso e lieviti in fermentazione. Da quanto detto finora, il Doburoku non si potrebbe definire nihonshu, in quanto non filtrato, seppure storicamente questo ne rappresenti l’archetipo che trova le sue prime origine nell’epoca Kofun. Le bottiglie di Nigorisake e di Doburoku così come vengono mantenute a temperatura molto bassa per evitare che la fermentazione continui e degradi irrimediabilmente il sake, allo stesso modo entrambi una volta aperti ed esposti alla naturale ossidazione devono essere consumati in un breve lasso di tempo per evitare che rendano sapori e aromi sgradevoli. Insomma si tratta di sake primordiali, molto ricchi di aminoacidi e di molte sostanze nutritive ed altrettanto ricchi di dolci e amabili sapori fruttati.
Dal punto di vista dei momenti che scandiscono l’intero processo di produzione del nihonshu, un’altra macro da tenere ben presente è senz’altro quella che ci porta a distinguere tra il sake crudo ed i sake pastorizzati una sola volta e quelli pastorizzati due volte. Appartiene senz’altro al primo gruppo il Namazake, letteralmente “sake crudo”, in quanto viene imbottigliato immediatamente dopo la pressatura. In questo caso si evita qualsiasi tipo di pastorizzazione ed è il sake integrale. E’ un sake molto vitale dal punto di vista enzimatico e microbiologico tanto che deve essere consumato in tempi brevi e mantenuto costantemente in un ambiente refrigerato, pena il suo scadimento. Di solito si trova in commercio subito alla fine della produzione del nihonshu, nei mesi di marzo e aprile con la dicitura Shiboritate ovvero “appena pressato”. Per questa tempistica così come per il gusto leggero e fresco, potrebbe ricordare il nostro vino novello. Ad eccezione dei namazake, di solito i sake possono subire alternativamente una duplice pastorizzazione : una al momento del travaso nelle tank per essere conservati oppure al momento dell’imbottigliamento prima di essere commercializzati. Tra i nihonshu pastorizzati una sola volta troviamo poi il namachozoshu, ed infine, il namazumeshu. Il namachozoshu, con sapori più freschi e simili al namazake, viene conservato nelle tank a temperatura controllata in quanto viene sottoposto ad un’unica pastorizzazione prima di essere imbottigliato. Questo compone aromi e gusti complessi e serve per interrompere e stabilizzare il nihonshu. Per il namazumeshu il discorso è diverso. In questo caso prima si procede alla pastorizzazione e poi lo si conserva nelle tank fino a che non viene imbottigliato per essere venduto. Il periodo di tempo che il namazumeshu trascorre, per così dire, a riposare nella tank, permette di far maturare elementi aromatici e gusto olfattivi più complessi sia rispetto ai namazake che ai namachozoschu. Infine i sake pastorizzati due volte. Tutti gli altri. Questa è la regola.
Bene ora è giunto il giusto momento di introdurre un ultimo sake. Facendo un passo indietro e tornando a parlare dei sake crudi, dobbiamo recuperare il Nama Genshu. Dopo la pressatura il sake viene di solito diluito in acqua di sorgente tanto quanto basta per abbassarne il grado alcolico fino a circa 15-16%, a discrezione della cantina. Se, invece, si decide di non sottoporlo a questo passaggio otterremo un Genshu ovvero un nihonshu, filtrato, che porta in sè sapori ed aromi complessi e molto ricchi ben supportati da una gradazione alcolica superiore, tra i 17% ed i 20%. Dovrebbe essere facilmente intuibile che siamo difronte ad un tipo particolare di sake, crudo, filtrato non diluito, con un grado alcolico originario e pari a 17-20% con una pienezza di sapori e freschezza di sentori tanto da poter essere considerato al pari di una architettura barocca, ricca di dettagli e potente.
E’ chiaro che queste diverse denominazioni attengono alle opzioni che il produttore può porre in essere per comporre la sua gamma di prodotti ed il suo stile. Nessuna di queste scelte è obbligatoria e fonda la sua ragion d’essere nella discrezionalità del produttore che potrà quindi aggiungere alla dicitura legale una o più di queste, come fossero tasselli di unico puzzle.