Sake di Qualità.

 

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Courtesy of Masuizumi

Qui trovate il link di una video intervista del famoso calciatore Nakata, che da qualche anno si prodiga a diffondere la cultura del sake giapponese tanto in patria quanto all’estero. L’ex calciatore parla della qualità del nihonshu e, ci riporta la sua esperienza su come il sapore del sake giapponese subisca un cambiamento profondo a seconda che sia o meno mantenuto con la dovuta cura.

In estrema sintesi, nel video si mette a confronto due bottiglie dello stesso nihonshu, constatando come quello conservato a temperatura ambiente abbia un sapore completamente diverso (anzi “mazui”) rispetto a quello conservato in una  cantinetta o comunque  a bassa temperatura che, al contrario, non ha subìto alcun degrado. Si suggerisce infine che il sake giapponese anche nel trasporto debba essere mantenuto in una cella frigorifero appositamente studiata.

Intervista a Nakata su Yahoo Japan

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La questione è cruciale e rappresenta un momento critico nel rapporto produttore-cliente finale. Come si conserva il sake giapponese in genere e nel trasporto dal Giappone? Quali sono i mezzi atti a preservarne le proprietà e l’integrità? E’ il sake giapponese così delicato da subire una trasformazione od un decadimento di qualità nel trasporto transcontinentale che deve sopportare per arrivare in Europa? Questi quesiti oltre a sollevare una questione meramente operativa, attengono alla Qualità – con la Q maiuscola – che il sake giapponese esportato restituisce rispetto all’origine. E’ un discorso sulla qualità del nihonshu o meglio sul mantenimento della stessa al di fuori della cantina che lo produce.

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Courtesy of Tatsuriki.

Ricordo di essere stato in visita in più di una cantina e di aver visto con quale cura il nihonshu sia stivato in ambienti estremamente puliti. Le diverse tank e le migliaia bottiglie che contengono il sake giapponese in attesa di essere vendute vengono tenute in ambienti a bassa temperatura. Il tutto viene costantemente monitorato in modo da difendere il prezioso fermentato di riso da alterazioni dovute a sbalzi termici. Questo è lo scenario che si presenta a chi si trova a visitare una cantina giapponese: un vero e proprio baluardo per la qualità. E se la cantina rappresenta “il fortino” posto a difesa e garante dell’ottima finitura del processo di produzione, gli operatori del mercato appaiono spesso agli occhi dei produttori di sake come i barbari che questa qualità troppo spesso trascendono ed abbandonano in favore del facile guadagno o, peggio, del facile risparmio. E’ infatti noto che un elemento rilevante che va a comporre e ad incidere sul costo finale del prodotto esportato è il costo del trasporto. Se, poi, questo debba essere fatto con particolari cautele affinché il nihonshu non subisca alcun decadimento, non si può pretendere una significativa diminuzione dei prezzi.

Ad oggi, il sake giapponese esportato può sicuramente mantenere inalterata la stessa originaria qualità solo e soltanto non si vada a mediare attraverso logiche da mercante in fiera sui mezzi di trasporto utilizzati. E’ chiaro che se un sake giapponese ostenta un prezzo decisamente troppo basso per aver attraversato tre quarti del globo terrestre, o c’è di mezzo una forte azione promozionale di qualche grande produttore di sake giapponese oppure qualche sospetto sull’adeguatezza di come sia stato trasportato e sull’accuratezza di dove e come sia stato mantenuto potrebbe essere più che fondato. “D’altro canto il nihonshu in quanto genuino e senza nessun tipo di conservanti è delicato” mi disse una volta uno dei nostri produttori… e la sua delicatezza è la sua ricchezza.

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Tokyo. Sede dell’Associazione nazionale produttori di nihonshu e shochu.

 

Alla scoperta dell’Akitora Junmai Ginjo in compagnia del bartender del Cafè de Paris: Sacha Mecocci

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Sacha Mecocci c/o Cafè de Paris

Sacha Mecocci è il primo bartender del Cafè de Paris di Firenze in cui lavora in pianta stabile dal 2007. Oltre ad essere un esperto bartender, si occupa dell’accurata selezione dei prodotti e della preparazione degli home-made (infusi, sciroppi,  bitters…) necessari per la creazione dei suoi cocktails. Dal 2015 insieme con altri esperti mixologist della scena fiorentina, partecipa al progetto Shaker Club guidato e fortemente voluto dal celebre Luca Picchi. Sempre alla ricerca di nuovi percorsi, gli abbiamo chiesto di confrontarsi nuovamente con “i nostri” nihonshu.

Qui di seguito riceviamo alcune sue considerazioni in occasione della degustazione del sake Akitora Junmai Ginjo della prefettura di Kochi della cantina Arimitsu.

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Akitora Junmai Ginjo 720ml

Allora Sacha raccontaci: quale sono state le tue impressioni nel primo incontro con questo sake giapponese?

Dunque, di seguito e senza ulteriori indugi, le mie impressioni sull’ Akitora Junmai Ginjo, “testato” volutamente sia a temperatura ambiente che freddo, tanto per apprezzarne le possibili variabili e sfumature.

Temperatura ambiente:
all’esame olfattivo i sentori di riso arrivano subito, molto distinti, seguiti da una gradevole nota floreale. In bocca risulta molto rotondo, morbido con media persistenza e scarsa astringenza. Il finale risulta gradevolmente asciutto e lascia la bocca pulita.

Temperatura 4° circa:
Anche qui sotto il profilo olfattivo i sentori di riso/cereali sono sempre presenti e le note floreali che si sviluppano in sottofondo ricordano i profumi tipici di alcuni vini bianchi del nord. In bocca, la bassa temperatura, aumenta un po’ l’acidità, gradevolmente, mantenendo al contempo la rotondità riscontrata nell’assaggio a temperatura ambiente. Il finale resta molto gradevole e abbastanza persistente con note di fiori ed una punta di sapidità.

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Akitora Junmai Ginjo 300ml (photo by Marco Crivellin)

In definitiva, rispetto al Maboroshi No Taki Junmai Ginjo, apprezzato in un’altra occasione, l’ho trovato più complesso, pieno e corposo. Questa complessità, legata alle note floreali, agli spiccati sentori di riso ed alla buona persistenza, ne fanno, a mio avviso, un ottimo prodotto da utilizzare in miscelazione. La prima riflessione che ho fatto mi ha portato ad una certa somiglianza che ha con alcuni vermouth secchi che lavoro tutti i giorni.
Questo mi fa pensare ad alcune varianti di drink classici che hanno fra gli ingredienti del dry vermouth.
In primis il Rose preparato con 45ml di dry Vermouth, 15ml di Kirsch (distillato di cilliege) e 10ml di cherry brandy (liquore alle cilliege). Sto pensando di provare ad utilizzare l’Akitora Junmai Ginjo al posto del vermouth: il risultato potrebbe essere interessante.
L’altro drink è chiaramente il Martini Dry Cocktail preparato con 60ml di London Dry Gin e 10ml di dry Vermouth. In questo caso, come ho fatto per la creazione del Kyusen, invertirei le dosi e ricalibrerei la ricetta. Proverò a fare 50ml di Akitora J.G. e 25ml di London Dry Gin…vi terrò aggiornato sui risultati! A presto!

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Akitora Junmai Ginjo particolare (photo by Marco Crivellin)

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Quando ho visto la bottiglia sulla tavola, sovrappensiero, ho sillabato ad alta voce:“Don-to-ko-i-mai”. Al che il mio perspicace e sempre molto, ma molto, simpatico commensale, pensando che stessi dicendo a lui, mi fa: “Icché?”….. Sì, vabbè..ho pensato sconsolato….

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Il Chikusen è un junmai che arriva da lontano. Siamo nel centro della famosa prefettura di Hyogo. “Famosa” perché a questa prefettura si attribuiscono storicamente alcuni tra i migliori nihonshu che la storia giapponese conosca. Il Chikusen viene prodotto in una piccola cantina tradizionale, la Tajime co. Ltd,  fondata nel 1702, con una produzione complessiva  di soli 126 mila litri annui. Il riso utilizzato, il Dontokoi appunto, viene raffinato fino al 65%. Il Dontokoi è un riso da tavola del genere japonica nato da un incrocio al fine di trovare un riso più resistente alle malattie e, soprattutto, maggiormente produttivo. E quindi, rispetto al sakamai – il vero e proprio riso da sake -, qui siamo al cospetto di un qualcosa di diverso, di particolare. E’, cioè, un outsider rispetto al riso da sake individuato e classificato secondo i criteri sanciti nello shuzo kotekimai. Un Junmai questo, tralatro, non filtrato e con un valore di nihonshudo pari a +5. Alla fine di tutte le nostre prove, il Chikusen ci ha riportato un risultato tanto interessante quanto inaspettato. Intanto all’esame visivo appare di colore giallo paglierino e, nonostante l’assenza della filtratura, risulta limpido e trasparente. Appena aperto lo abbiamo lasciato respirare per una decina di minuti, in fondo era stato imbottigliato undici mesi prima…un minimo di ambientazione… gliela dovevamo…bicchiere6580

 

Lo abbiamo versato nei nostri calici modello tipo tronco conico mentre sulla tavola imbastivamo tutto l’occorrente per una salutare e genuina bagna cauda . Dunque, al primo sorso a temperatura ambiente, circa 12°C, ci ha colpito il tono secco ed il sapore sapido di cereali e malto che richiamava e componeva quell’umami che solo alcuni nihonshu sanno mettere bene in evidenza. Abbiamo capito fin da subito che si era in presenza di un sake giapponese che pretende un abbinamento per essere apprezzato appieno. Lasciate quindi alle spalle ogni pretesa da “degustazioni in solitaria”, ci siamo buttati a sperimentare il Chikusen Junmai accompagnandolo con la cruditè di verdure e la salsa della bagna cauda sapientemente preparata per l’occasione. Ecco che i toni di questo junmai, in abbinamento con la sapidità della salsa di vere acciughe siciliane e dell’olio novo toscano, cambiano e prendono vita andando a sigillare un sodalizio molto equilibrato. Sorpresi da questo piacevole e gustoso cambiamento rispetto al primo assaggio, abbiamo deciso di mettere alla prova questo junmai e di riporre il Chikusen in frigorifero per portarlo ad una temperatura di servizio più fredda, intorno ai 5°C. Non sapevamo a cosa stavamo andando incontro. Eravamo semplicemente incuriositi dalle potenzialità di questo nihonshu e di vedere dove ci avrebbe portato il nostro sperimentare. Ebbene, ecco venire fuori da questo junmai un sentore fruttato, di melone verde, che prima era latente o, se vogliamo, sommerso dagli altri profili cereali che ora invece cedono il passo. Sempre secco, asciutto e leggermente persistente al palato. “Di certo non si può dire che questo nihonshu sia ruffiano!” si sono affrettati a declamare i miei invitati sempre più divertiti e soddisfatti dalle prove messe in tavola.bottiglia6536

 

Non c’è due senza tre. Sorpresi da questo passaggio e considerato che la bottiglia ancora ce lo permetteva, ne abbiamo riscaldato una parte a bagnomaria fino ad una temperatura di 38° circa. Qui il Chikusen è risultato più neutro ed equilibrato tornando sui creali e note di malto in armonico supporto all’abbinamento che ci stava accompagnando a tavola.bagnacauda6568

 

Insomma, per essere partiti senza aspettative o pretese, direi che di strada ne abbiamo percorsa in compagnia di questo junmai di cui tutto si può dire fuorché sia scontato e tutt’altro che banale. Ottimo invitato speciale sulla tavola dove esprime un delicato completamento alle pietanze grazie all’umami che riesce a comporre, anzi, a …stuzzicare in bocca. Kanpai!