Sembra proprio che la settimana che sta arrivando sarà densa di appuntamenti dedicati sia a chi voglia avvicinarsi per la prima volta al sake giapponese sia per chi voglia approfondire alcuni argomenti specifici in modo professionale.
Il sake non si ferma anzi dilaga su Instagram e Zoom dove potrete assistere alle dirette in modo completamente gratuito e, sopratutto, potrete fare domande e risolvere dubbi sul nihonshu.
Seguendo un rigoroso ordine cronologico vi segnalo qui sotto i migliori appuntamenti assolutamente da non perdere. Tutti molto consigliati. Attenzione che in alcuni casi è necessario iscriversi.
LUNEDI’ 27 APRILE, ore 2,00 am.
Appuntamento per rimanere aggiornati sul mondo del sake.
LUNEDI’ 27 APRILE, ore 15,00.
Per conoscere il sake partendo dagli ingredienti.
Primo appuntamento dedicato al sake giapponese, il nihonshu. Parleremo dell’ingrediente principale del sake: il Riso. Quale riso è migliore? Quale tipologie di riso si usano per produrre il sake? Che cosa cambia tra un riso e l’altro?
Vi aspettiamo. Adatto per amatori e professionisti.
Dedicato a chi piace il sake, gli aperitivi, il dolce vivere…
Il sake in miscelazione nei cocktails ha trovato una nuova e originale strada e a Firenze alcuni famosi bartenders sono dal 2015 i precursori nell’interpretare la tradizione di questo millenario fermentato giapponese.
Dopo un primo appuntamento in cui abbiamo incontrato Daniele Cancellara Head Bartender del Rasputin, ne parleremo SABATO 2 MAGGIO con Sacha Mecocci, Head Bartender presso The Fusion Bar& Restaurant, che ci suggerirà anche come creare un brillante sake cocktail a casa nostra.
Partiamo da un dato. Il sake giapponese sta attirando sempre di più l’attenzione di nuovi fan, curiosi alle prime armi. Un consiglio: per conoscere il sake meglio sarebbe procedere con dei tasting mirati in modo da costruirsi un percorso di avvicinamento alla comprensione di cosa sia il sake per noi stessi. Sul campo e non solo studiando sui libri. La prova empirica vince sempre. E poi, diciamolo francamente, almeno in questo caso è più piacevole e dona un certo tono se fatta con metodo. Il metodo appunto rappresenta il punto di partenza imprenscindibile.
E allora? da dove cominciare? Se io non ne so nulla e ho una semplice curiosità come realizzare un percorso di avvicinamento? E’ facile.
Innanzitutto una premessa necessaria. Il sake è composto da pochi, semplici ingredienti: acqua, riso cotto a vapore, il riso koji e lieviti. Solo questi? In alcuni sake viene aggiunta anche una piccola quantità di alcol distillato per aumentarne gli aromi, non la gradazione alcolica. Questi ingredienti concorrono, insieme alle differenti tecniche di produzione, alla creazione di sake diversi. Il Sake non ha un gusto unico, ci sono tanti gusti del sake.
“Conosci te stesso” e troverai il tuo sake.
Per avvicinarsi al sake occorre innanzitutto conoscere…se stessi. Socrate docet. Bisogna cioè porsi una domanda: mi piace più bere un vino, un cocktail secco e severo oppure un vino o un cocktail fruttato e fresco? Queste sono semplificazioni certo, utili solo per iniziare, per un primo appuntamento con il sake. Ma chi ben comincia…
Shichihonyari Junmai
Vi piace un gusto asciutto e secco che riporti ad alcune sincere note alcoliche e arsure estive, veraci sapidità o ricordi di cereali? I Junmai o Honjozo potrebbero strizzarvi l’occhiolino. Sono loro che portano avanti le complessità di petto e senza troppi fronzoli. I Junmai e gli Honjozo sono le spezie prelibate, il pepe nero, per chi vuole affrontare il sake accendendo il ritmo rock e vibrante, senza passare dal via. Il Junmai e l’Honjozo sono i pezzi neri sulla scacchiera. Oggi ci sono molte varianti all’interno di queste due tribù, tanto che ogni produttore propone la sua personale interpretazione. Ogni Junmai o Honjozo è diverso dall’altro e possono esprimere molti lati oscuri. Per quanto riguarda la modalità di servizio sono abbastanza ribelli in quanto offrono la possibilità di essere serviti freschi, a temperatura ambiente o caldi. Sulle specifiche temperature vi consiglio di leggere l’etichetta posta sul retro, che, se fatta bene, dovrebbe potervi aiutare.
Se invece, preferite delicati e raffinati sapori fruttati che potrebbero ricordarvi accenni a fiori bianchi di gelsomino o camomilla, leggere note di banana o litchi o melone, ecco comparire all’orizzonte i Junmai Ginjo ed i Junmai Daiginjo o – se siete alla ricerca di più aromi – i Ginjo ed i Daiginjo, senza la parola Junmai. Fresche brezze mattutine estive, suono bianco delle onde del mare sulla battigia in spiaggia, i Junmai Ginjo e Daiginjo ricordano le vacanze estive o gli appuntamenti con stile. I Junmai Ginjo e Daiginjo sono gli Elfi nel Libro degli anelli. Eleganti e palpitanti allo stesso tempo sono interessanti per la loro versatilità, aprono le danze all’aperitivo e si servono freddi, mai caldi anche se poi armonizzano l’ambiente con un ritmo a volte classico a volte pop a volte brasiliano da saudade. Anche qui i produttori offrono molte varianti di tonalità di gusti e converrebbe provarne almeno due per categoria prima di passare al lato oscuro del sake.
Junmai Ginjo e Daiginjo
Le categorie di sake a cui abbiamo fatto riferimento non prevedono l’aggiunta di altri ingredienti. Quindi “solo” acqua, riso,riso koji e lieviti. Non ci sono additivi, aggiunta di frutti o altri edulcoranti o conservanti. Solo acqua, riso, riso koji e lieviti. Questo appena delineato è un approccio semplice e alla portata di tutti, senza dover essere tecnici, ma solo curiosi, che poi ad appassionarsi è un attimo! E affezionarsi ad uno stile, è l’attimo dopo!
Dal 2014 importo in esclusiva per l’Italia una selezione di sake giapponesi da produttori che hanno fortemente voluto venire in Italia per condividere la loro scelta di vita ed il loro stile, per far conoscere la storia delle loro famiglie che da generazioni costellano l’universo del sake giapponese.
Vivere nei secoli.
Le cantine che ho visitato e poi selezionato sono tradizionali ed espressione di un vissuto in un territorio. I produttori che ho incontrato e, con il tempo, conosciuto abitano con le loro famiglie e fin da bambini in vicinanza della cantina. Alcuni di loro hanno la propria abitazione nello stesso perimetro della cantina ed è facile immaginare che da bambini scorrazzassero tra le tank ed il riso, tra i i macchinari e gli operai impegnati a produrre il sake, così come si corre da bambini nella casa di mamma e papà in mezzo ai giocattoli sparsi sul pavimento. Di padre in figlio o di madre in figlia, tutti i produttori che importo si sono tramandati il testimone per consapevole scelta di vita nei secoli dei secoli.
Tomita anno di fondazione della cantina 1542.
Amabuki anno di fondazione della cantina 1688.
Yoshida anno di fondazione della cantina 1806.
Sekiya anno di fondazione della cantina 1864.
Mikunihare anno di fondazione della cantina 1887.
Kazuma anno di fondazione della cantina 1890.
Joyo anno di fondazione della cantina 1895.
Arimitsu anno di fondazione della cantina 1903.
Ad oggi, ho visitato cinquantatre cantine di sake e fin dall’inizio – correva l’anno 2004 …- delle mie esplorazioni giapponesi mi sono chiesto quale potesse essere una linea guida per orientarsi nel mondo del sake. A quel tempo mi sono messo nei panni del neofita che voglia bere il vero sake ed ho pensato che fosse la qualità il valore irrunciabile e che – come ero solito dire – “bere il sake giapponese con la stessa qualità che si trova in Giappone” fosse l’esperienza principale e ricercata per chi in Italia si avvicina al sake giapponese.
La denominazione “Tokubetsu” rappresenta la vera croce e delizia tra le denominazioni tipiche dei sake. Chi si avvicina al sake, a piccoli passi, comincia a conoscere il sake degustandolo; e poi studia e apprende abbastanza facilmente, anche grazie a internet, che i sake si distinguono in Premium sake che a loro volta si suddividono in otto categorie in base a criteri quali: l’essere il riso un riso da sake certificato e di un certo grado di qualità; il chicco di riso deve essere raffinato in una percentuale riportata sull’etichetta a seconda della quale ricade in una delle categorie normate; il riso koji deve essere presente per almeno il 15%; ed infine, se vi sia o meno una parte di alcol distillato aggiunto.Tra questi dati, la linea guida più immediata è senz’altro rappresentata dalla percentuale di raffinazione del chicco di riso che indica la categoria di appartenenza del sake: se inferiore al 60% è un ginjo o junmai ginjo, se è inferiore al 50% è un daiginjo o junmai daiginjo, se è 70% e c’è alcol aggiunto è un Honjozo. Questa è la storia, ma senza il lieto fine se si dimentica di specificare che cosa siano o non siano il Tokubetsu Junmai ed il Tokubetsu Honjozo. Quando si pensa di essere arrivati a comprendere il sake ecco che saltano fuori dalle righe i Tokubetsu, veri e propri outsiders delle classifiche. Politicamente scorretti? Non direi, piuttosto sono “anarchici necessari” al sistema con cui si devono assolutamente confrontare o, se vogliamo capovolgere i termini, sono le due eccezioni normativamente previste che confermano la regola.
Sembra proprio un’idea peregrina parlare di sake e di gastronomia giapponese nella patria del vino e della Dieta Mediterranea, eppure non tutti sanno che il primo a paragonare i benefici della Cucina del Sol Levante ai nostri costumi alimentari fu proprio Ancel Keys: il padre del concetto della Dieta Mediterranea infatti incluse il Giappone tra i setti paesi in cui avviare lo studio epidemiologico al fine di scoprire la relazione tra cibo e malattie cardiovascolari; le conclusioni portarono Keys a stabilire che tanto nei paesi che si affacciano sul Mare Nostrum che in Giappone il prediligere maggiormente un consumo di pesce, verdure e cereali a quello di carne rossa e grassi di origine animale, preveniva l’insorgenza di infarti, ictus ed altre malattie dovute ad attitudini errate e ad un’alimentazione poco salutare. Inoltre è piacevole pensare che l’Italia ed il Giappone, Paesi e Culture così lontane tra loro, rientrino nelle stesse fasce di latitudine e siano due popoli che amano dare il benvenuto a tavola con grande senso di convivialità.
Spesso, parlando di sake, ci si imbatte in luoghi comuni tanto diffusi quanto errati e ciò è dovuto al fatto che in molti ristoranti orientali nel nostro Paese ci viene dato un tipo di grappa cinese al suo posto a fine pasto, mentre in realtà il sake è un fermentato e non un distillato come spesso viene erroneamente riportato. Nella misura in cui tantissimi sono i vini italiani che si abbinano perfettamente alla cucina giapponese anche il sake, con un range alcolico mediamente compreso tra i 16 ed i 22°, riesce ad essere un ottimo compagno a tavola per le più svariate pietanze, tipiche della cucina italiana e della Dieta Mediterranea in generale, senza risultare invadente, ecco perché Mediterranea Online ha scelto di intervistare Giovanni Baldini, toscano di origine controllata e garantita, nonché fondatore di Firenze Sake e, più recentemente, della Scuola Italiana Sake.
Classe del ’72, nasce a Johannesburg da genitori impegnati nell’insegnamento presso la locale università; aretino da parte materna, la famiglia decise di spostarsi a Livorno per aprire un’attività di bar e tabacchi, poi evolutasi in alimentari e gastronomia, Giovanni è fiorentino dal ramo paterno. Suo padre, già professore universitario negli States, proviene da una famiglia della piccola aristocrazia fiorentina originaria del Chianti Rufina, trasferitasi nel capoluogo toscano… sarà infatti a Firenze che suo nonno paterno che, dopo aver venduto i tenimenti ed il castello a causa della 1^ guerra mondiale, conoscerà la sua sposa, non senza dover affrontare il duro colpo dell’alluvione del fiume Arno del ’66.
Prima di laurearsi in Giurisprudenza presso l’Università di Firenze, per potersi pagare gli studi ed emanciparsi quindi dalla famiglia, Giovanni è stato reduce di tante piccole e grandi esperienze di lavoro: da garzone in gastronomia a commesso di un centro commerciale, da assistente fotografo ad impiegato presso uno degli studi legali più importanti di Firenze, per poi arrivare alle soglie del 2000 e dover rinunciare a proseguire l’attività presso lo studio fotografico a causa della crisi dovuta all’avvento del digitale e sentire che la carriera legale non sarebbe mai stata la sua strada nella vita; dopo una breve parentesi come bracciante agricolo impiegato durante una vendemmia nel chiantigiano, nel settembre del 2000 accettò la proposta di fare il commesso presso un’importante catena di elettrodomestici, ruolo che ricoprì con il solito impegno che lo contraddistingue nel fare le cose, esperendo dunque nel mondo del marketing per diventare dapprima caporeparto, poi vicedirettore ed infine direttore alle vendite, nonché responsabile del personale. Sono gli anni in cui Giovanni raccoglie un bagaglio di esperienze trasversali dal punto di vista sia professionale che umano, anni in cui ricorda con affetto e stima tutti i colleghi che lo hanno aiutato a conseguire dei risultati ed il periodo in cui conoscerà una ragazza giapponese, sua futura sposa.
Dal 2004, grazie a sua moglie, iniziano i viaggi e l’avvicinamento alla cultura del Giappone, viaggi che appagheranno il desiderio di internazionalità insito in Giovanni per vocazione di nascita, ma che lo rendono sempre più curioso rispetto al culto del sake… una curiosità sempre crescente che diventerà una vera e propria passione tanto che nel 2014 Giovanni decide di invertire rotta ed investire tutto nel fermentato giapponese, avviandone l’importazione attraverso Firenze Sake.
Nello stesso anno Giovanni Baldini diventa attivo nella divulgazione della cultura del sake, partecipando a diverse fiere e rassegne enogastronomiche oltre che ad organizzare eventi dedicati tanto al pubblico di appassionati che del settore; dopo un lungo percorso formativo fatto di studio, di viaggi e di pratica sul campo, nel 2017 ottiene l’abilitazione ad insegnare il corso di primo livello sulla conoscenza del sake per il Wine and Spirit Education Trust di Londra; per la stessa WSET ha organizzato ben 4 corsi a Firenze, avendo tra i suoi studenti sommelier, addetti alla ristorazione, bartenders, responsabili di enoteca e food & beverage managers. Nel febbraio del 2018 e del 2019 è stato invitato dal governo giapponese in qualità di rappresentante per l’Italia ed esperto di importazioni del sake, concretizzando importanti legami istituzionali con enti quali il Ministero dell’Agricoltura ed il Japan External Trade Organization, diventando tra l’altro protagonista di intervista televisiva per NHK riguardo a tematiche importanti quali gli sviluppi economici in luogo dei nuovi accordi commerciali e doganali tra Unione Europea e Giappone e sul concreto supporto del governo del Sol Levante e dei produttori artigianali del sake.
Tra i libri che gli sono maggiormente piaciuti e lo rappresentano vi sono i manuale di diritto privato ed il manuale di diritto penale sui quali ha investito un anno di vita e che ancora ricorda a memoria, il Libro della Fotografia di Andreas Feininger, Maledetti Toscani di Curzio Malaparte, la Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari e la selezione delle Novelle Italiane di Italo Calvino, tutti i libri di Raymond Queneau, alcuni testi di comunicazione e, naturalmente, un’infinità di libri sul sake. Dei libri Giovanni ama dire “non è il tempo di leggere che mi manca, ma quello di assaporare appieno i libri”, imponendosi come regola di non tenersi a casa più libri di quanti ne entrino nella sua piccola libreria e facendo ogni anno una vera e propria selezione.
Giovanni ama incondizionatamente la musica, innanzitutto quella classica da Beethoven a Chopin e da Verdi a Puccini, e poi la pop music, il country, il jazz, il rock inglese, la tecno house, incluso l’heavy metal, senza porsi alcun limite, esclamando contento “per fortuna che c’è la musica” ed ascoltando tutto il possibile; tra i suoi hobbies giovanili la passione per gli scacchi, la numismatica e la pesca in acqua dolce, poco praticata ma tanto studiata, e la predilezione per i giochi di squadra in generale in cui si è cimentato, senza sentirsi granché portato, ma affidandosi sempre al teamwork.
Giovanni è un umanista, riflessivo all’occorrenza, metodico e flessibile; dalla sua famiglia ha ereditato la passione per l’enogastronomia, il senso del bello, del buono e della giusta misura, nonché una distinzione ed un garbo di altri tempi, senza mai perdere la disponibilità genuina del “ragazzo della porta accanto” ed una naturale curiosità che lo porta ad affrontare con umiltà, passione, determinazione e consapevolezza il nuovo insito nelle cose che desidera imparare e nelle persone che la vita gli ha messo sul suo cammino, non a caso la frase che più lo rappresenta è un antico proverbio giapponese:
“il sake crea buoni legami tra le persone.”
FIRENZESAKE TASTING
Da quando hai cominciato a provare attrazione verso la cultura giapponese… e l’amore per il sake è scattato allo stesso momento?
Correva l’anno 2004 quando atterrai per la prima volta all’aeroporto di Osaka. Fu il primo dei ventidue viaggi che fino ad oggi mi hanno fatto conoscere sul campo una cultura distante e complessa e di cui allora ero completamente all’oscuro per quanto incuriosito. Del Giappone nel 2004 conoscevo in effetti poco o niente. Il sake lo conobbi quasi per caso e me ne sono innamorato tanto da studiarlo sotto tutti gli aspetti fino a farne una professione ed un libro che sto finendo di scrivere. L’amore per il sake? Credo che sia nato spontaneo e dovuto al fatto che del sake ne ho conosciuto fin dal principio la dimensione nazional popolare, quel sentimento sincero e autentico che si ritrova in qualsiasi bevanda autoctona quando diventa elemento imprescindibile di una cultura e della storia di un paese, sia che si parli di sake sia che si parli di vino.
Cosa significa lavorare in una sakagura, quale atmosfera si respira coi colleghi?
Lavorare in una cantina di sake giapponese è un’esperienza che arricchisce a livello umano. Ricordo che quando arrivai la prima volta in cantina mi fu data l’uniforme, il cappellino, le calosce ed i guanti. Era alle sette di mattina ed era il mio primo giorno. Ero entusiasta e motivato. Non vedevo l’ora di iniziare a mettere le mani in pasta o a fare qualsiasi cosa. Era una cantina dove tre quarti delle operazioni venivano fatte ancora a mano e quindi mi immaginavo ci fosse molto da lavorare. Ero pronto. Alle sette e trenta del mattino, dopo la riunione del Toji, il quale assegnava i compiti a tutti, vidi che mentre gli altri sapevano che cosa fare io ero completamente spaesato. Forse avranno pensato che ero andato lì per guardarli lavorare e per fare qualche domanda, riflettei. Quindi vidi che gli altri lavoravano e io niente. Gli altri portavano i sacchi di riso da trenta chili per iniziare la produzione e io fermo. Gli altri bagnati fradici ammollavano il riso nell’acqua ed io asciutto. Preparavano il riso per la cottura a vapore e dopo lo distendevano bollente su delle stuoie per farlo raffreddare… e io a guardare. Dopo un’ora di questo tran tran, vidi che gli operai, via via che correvano da una parte all’altra della cantina per seguire la produzione, lasciavano gli strumenti di lavoro usati in un angolo della cantina vicino ad un’idropulitrice: mi rimboccai le mani e mi feci spiegare come potevo lavarli e cominciai. Quando videro che mi davo da fare, anche se il mio contributo, diciamocelo, era minimo, cambiarono atteggiamento e da quel giorno per due settimane non ebbi un momento di riposo se non la sera quando tornavo a casa. Lavorare in cantina significa lavorare in un gruppo di persone che dalla mattina presto fino alla sera procedono in sincrono: se tu ti fermi, io mi fermo, il processo rallenta e il sake può non riuscire bene. E’ una staffetta, non è una maratona in solitaria. E si corre, altroché se si corre!
Perché hai deciso di scommettere sul sake e come viene recepito in una delle terre più vocate per la qualità dei vini come la Toscana?
Ho scelto il sake per passione prima e come professione dopo. Scommettere sul sake in Toscana è stata una conseguenza connaturale al mio motto: “quando il gioco si fa duro…” no, scherzo, è vero che in Toscana abbiamo una tradizione radicata nel produrre e nel bere il vino; mio nonno nel suo piccolo produceva vino sulle colline vicino ad Arezzo. In realtà fin dall’inizio ho pensato al fatto che i toscani potessero trovare interessante il sake per due ragioni: il pubblico toscano ha già dimostrato una buona confidenza nel bere di qualità; il sake, per la sua gradevole natura di fermentato e per le sue varietà, ben poteva accostarsi in abbinamento alle materie prime che abbiamo in Toscana. Mi preme sottolineare un aspetto: il sake – è dimostrato da esperienze oramai consolidate in tutto il mondo – non crea competizione con il vino che è e rimarrà sempre la bevanda per eccellenza. Il sake ha lo scopo di ampliare la scelta di chi mangia consapevolmente. Ho detto “chi mangia”? E’ sì perché il sake è una bevanda da abbinamento, così nasce e da lì bisogna partire. In quest’ottica consapevole e contemporanea, oggi mangio un piatto di pesce e posso decidere di accompagnarlo con un vino, bianco o rosso, oppure con un sake, fruttato piuttosto che secco. Libertà di scelta, non è bello? L’idea iniziale quindi era di proporre al pubblico toscano una selezione di sake di qualità che potesse rappresentare una alternativa allettante ed una novità piacevole per chi è già abituato a bere il vino e ha voglia di esplorare nuovi lidi: il sake per chi vuole aprirsi all’oltre. Alle degustazioni che tengo a Firenze mi diverte ancora oggi vedere la sorpresa disegnata sui volti di chi si avvicina per la prima volta al sake. Quei volti che sembrano dire: “Ma come questo è il sake? Ma come si beve freddo? E nei calici?”. Non dimentichiamoci che il sake in questo momento storico disegna una dinamica di relazione con le persone: si beve in compagnia. In questo senso mi sento di dire che il sake sta ritrovando qui il suo alveo naturale di bevanda nazional popolare o come dice un antico proverbio giapponese: “Il sake crea buoni legami tra le persone”.
Persone dalle quali ti sei sentito ispirato?
Ho girato mezza Italia per parlare di sake da Trieste a Salerno, come da Aosta a Roma ed ho sempre avuto la fortuna di incontrare persone che la ricchezza se la portano dentro e la loro generosità e professionalità è immensa. Ricordo con affetto Luca, il mio primo mentore nelle vendite, e Daniele, il direttore dal quale ho ricevuto molti insegnamenti tanto dal punto di vista professionale che umano, e tantissime persone che ho avuto il bene di incontrare lungo il mio cammino. Durante i miei innumerevoli viaggi ho potuto essere iniziato al sake da mio suocero, il quale ha di certo contribuito a farmi vivere il sake nella sua veste domestica e conviviale, dandomi la possibilità di assaggiarne numerose tipologie tutte le volte che tornavo a casa ad Osaka; il mio pensiero è rivolto ai tanti amici giapponesi che ogni volta mi presentavano qualche personaggio del mondo del fermentato giapponese… il mio caro amico Daisuke ad esempio mi regalò un libro per incitarmi a sviluppare le mie competenze e, per la stessa ragione, mi ha guidato alla degustazione dei sake più rari che io abbia mai assaggiato. Quindi devo molto agli amici, ai compagni di lavoro nelle sakagura e ai produttori che ho incontrato, ne cito due per tutti: il mitico Shingo Iwase della cantina Mikunihare di Toyama che ancor oggi, con la sua professionale modestia, riesce a rispondere a qualsiasi interrogativo sulla produzione di sake ed Il compianto presidente della casa di produzione Honda Shoten… era una persona autentica oltre che ad una onorevole eminenza nel mondo del sake; da lui in un solo giorno ho appreso molto sull’importanza delle persone e della terra, fattori determinanti per produrre il riso per il sake. Peccato Averlo perso. Veri e propri maestri di vita quindi non ne ho mai avuti, solo molti consiglieri amici. E in un certo senso, considero buoni consiglieri anche i nemici… e chi l’ha detto che le persone ostili non ti possano indicare una strada da evitare in futuro? Le persone che non sopporto sono le “spugne”, coloro che non rilasciano niente di quello che assorbono della ricchezza delle relazioni umane, quelle che pensano solo alle loro miopi opportunità e non condividono pensieri e progetti o che peggio non hanno chiaro quello che vogliono dalla vita.
Concludo dicendo che tutto ciò che mi ispira in questo percorso oltre alle persone è frutto di una grandissima sinergia familiare: Miki, mia moglie, ha da sempre supportato ogni scelta che ho fatto ed è a lei che dedico tutto questo e quello che verrà.
ARIMITSU BREWERY – KOCHI
Su quale scelta si basa la selezione di sake che proponi?
Nella selezione dei sake che ho fatto si trovano “sake da mangiare”. La selezione si fonda, cioè, su un criterio legato agli abbinamenti possibili con le materie prime che noi in Italia – siamo fortunati! – abbiamo di ottima qualità. I sake che ho in selezione si abbinano molto bene con carne, pesce, verdure e formaggi freschi piuttosto che stagionati. Sake genuini ed eleganti, di facile beva in abbinamento con cibi genuini non per forza ricercati, ma anche casalinghi: un bel risotto con i funghi con un sake leggermente secco oppure un baccalà mantecato con un sake freddo leggermente fruttato. I sake che ho cercato in Giappone in giro per le cantine sono sake che si possono usare sia con ricette semplici che con cibi ricercati.
Oltre a questo ho preferito piccole cantine che non tradissero l’artigianalità in favore del profitto, la loro identità in favore dell’ambizione.
I miei produttori sono persone che da generazioni scelgono di produrre il sake rispettando la tradizione e promuovendo l’economia del territorio in un rapporto di sinergia con gli agricoltori locali. Solo per avere un’idea di quello che sto dicendo: la cantina più antica tra quelle che importo è stata fondata nel 1542 e ci lavorano in sei, mentre quella più giovane nel 1903 ne ha cinque impegnate nella produzione. Vi anticipo che la selezione è stata sempre intesa come una selezione “aperta”. Il progetto Firenzesake prevede di crescere insieme col progredire della conoscenza che il pubblico italiano farà del sake e si trovano fermentati come il junmai ginjo adatto anche ai neofiti, piuttosto che ad un pubblico già edotto e capace di apprezzare il junmai daiginjo, quanto per coloro che sono alla ricerca di qualcosa di non scontato come potrebbe esserlo il nostro genshu junmai. E’ come un percorso dove mano a mano che il pubblico italiano progredisce nella conoscenza del sake, noi cresceremo insieme con altre tipologie di sake. L’attività di scouting ovvero di ricerca sul campo non si è mai fermata ed è quella che mi tiene più impegnato nei miei viaggi. Beninteso che le novità in arrivo non andranno a sovrapporsi o a soppiantare la selezione fatta finora. Aggiungerò alcune strade nuove, alcuni sake che ancora era prematuro di inserire. Un anticipazione? Ho trovato uno sparkling sake ovvero un sake spumantizzato che ha una buona texture, aromaticità e finezza.
Ti andrebbe di confidarci qual è il sake che prediligi ed il cibo col quale ami berlo?
Il sake ha molti gusti ed esistono differenti tipi di sake che bisogna sapere abbinare. Un semplice principio che si può seguire all’inizio è quello di armonia e di equilibrio. E come temperatura di servizio: freddo 6/10°c. Un sake fruttato e morbido andrà con un cibo delicato e leggermente sapido; un sake secco e speziato, lo preferiremo con un cibo più complesso e aromatico. Detto questo, pur essendo da quattordici anni impegnato a conoscere il sake, non ho ancora finito di sperimentare gli abbinamenti possibili cibo/sake. Ho iniziato come tutti a casa con quello che avevo: una tartare di carne o un risotto gamberetti e limone con un junmai ginjo equilibrato; una frittura di pesce con un tokubetsu junmai, piuttosto che con una sua versione più secca; e poi da toscano non ho potuto fare a meno di un abbinamento sorprendente tra la bistecca fiorentina ed il Shichihonyari junmai un sake dai sentori fungini, di koji e cerealicoli tanto che pareva che la carne si sciogliesse in bocca a contatto con il sake.
MIKUNIHARE BREWERY – TOYAMA
Ed il gusto italiano su che tipologia di sake è orientato? Come vedi il mercato italiano rispetto al consumo del fermentato giapponese?
Se è vero come è vero che la sensibilità ai gusti si va affinando con il tempo e con l’esperienza di diverse tipologie di sake, ad oggi gli italiani non hanno ancora una idea così definita o definitiva del sake. E va bene così, visto che il sake sta crescendo di popolarità insieme con la curiosità degli italiani. In questo momento chi si avvicina al sake giapponese è importante che si ponga in una prospettiva di esplorazione e sia pronto a mettersi in gioco. La categoria che fino a qualche mese fa sembrava andare per la maggiore era il junmai, un sake magari più robusto e aromatico. Ora che i mesi estivi si affacciano, sembrano guadagnare terreno sake più delicati e fruttati. E questo di certo denota un andamento stagionale, ma che va vissuto come una tendenza di per sé non vincolante in quanto è il cibo e la compagnia che determina il consumo di sake in Italia. Nelle degustazioni che faccio in giro per l’Italia dove quando porto un sake bello carico e con un certo spessore, viene subito apprezzato dalla maggior parte. Peccato però che quando si debba decidere di acquistarne una bottiglia, se ne preferisca uno che magari sia più facile da abbinare quando sono a casa con gli amici. E’ anche seguendo questo ragionamento che ho costruito la mia selezione, sia per coloro che sono alle prime armi sia per tutti coloro che sono già ad uno step superiore: ho già assaggiato il sake, mi è piaciuto ed ora lo voglio provare a casa mia. Tra l’altro iscrivendosi alla newsletter del sito firenzesake.com spesso attiviamo delle promozioni che facilitano la scelta tra i sake.
Si direbbe che un professionista del beverage possa ampliare le sue conoscenze anche attraverso il sake…
Da un punto di vista professionale il sake rappresenta una grande opportunità sol che si pensi che i sommelier costituiscono già di per sé una realtà importante e significativa per l’esperienza che noi tutti facciamo nei ristoranti nel momento della scelta del vino. Oramai bisogna riconoscere si tratta di una figura importante e di un dato consolidato e diffuso nei migliori ristoranti. Ebbene cosa diresti se in un ristorante di già comprovata qualità, ci fosse anche un sommelier esperto che ti possa guidare anche nella scelta di sake che ti facciano provare esperienze sensoriali nuove ed esclusive?
È recente la notizia dell’apertura della Scuola Italiana Sake da te fondata. In cosa consiste e come si differenzia da altri modelli didattici?
Firenze è la città dove in Italia si conta una fiorente comunità di residenti giapponesi che rendono vitale questa città coinvolgendola in attività di promozione della loro cultura e rivitalizzandone l’artigianato che è portato avanti anche da alcuni giovani giapponesi che si sono fatto carico di mestieri che i fiorentini hanno abbandonato. La Scuola Italiana Sake insiste su questo contesto e, anche se si occuperà in modo specifico di sake giapponese, lo vorrà fare con un respiro più ampio. Come ho detto all’inizio il sake giapponese è parte imprescindibile della cultura tradizionale giapponese e non solo di quella gastronomica. L’idea è quindi quella di creare un open space dove coniugare oltre allo studio specifico del sake giapponese anche quello di altri aspetti della cultura giapponese. La Scuola Italiana Sake dovrebbe iniziare – il condizionale è d’obbligo in questo periodo – la propria attività a settembre ed essere rivolta ora ad un pubblico amatoriale ora ad un pubblico professionista. La Scuola Italiana Sake vorrà essere una realtà diversa ed unica per l’offerta didattica in quanto prevediamo di organizzare workshop con una modalità concreta ed aperta a chi si vuole avvicinare al sake per passione e su un altro piano ben distinto vorremo soddisfare quella richiesta che proviene dai professionisti. In particolare la Scuola Italiana Sake sta prendendo accordi con l’associazione Washoku Kentei, già operativa a Bologna, che si occuperà di promuovere i propri corsi certificati sulla cucina tradizionale giapponese. Inoltre stiamo lavorando con le associazioni presenti sul territorio fiorentino per offrire loro l’opportunità di creare future sinergie. La Scuola Italiana Sake troverà forza proprio nelle sinergie che riuscirà a creare tra le persone.
E l’approccio didattico sarà rivoluzionario e al passo con i tempi…