Due anarchici nel sistema.
La denominazione “Tokubetsu” rappresenta la vera croce e delizia tra le denominazioni tipiche dei sake. Chi si avvicina al sake, a piccoli passi, comincia a conoscere il sake degustandolo; e poi studia e apprende abbastanza facilmente, anche grazie a internet, che i sake si distinguono in Premium sake che a loro volta si suddividono in otto categorie in base a criteri quali: l’essere il riso un riso da sake certificato e di un certo grado di qualità; il chicco di riso deve essere raffinato in una percentuale riportata sull’etichetta a seconda della quale ricade in una delle categorie normate; il riso koji deve essere presente per almeno il 15%; ed infine, se vi sia o meno una parte di alcol distillato aggiunto.Tra questi dati, la linea guida più immediata è senz’altro rappresentata dalla percentuale di raffinazione del chicco di riso che indica la categoria di appartenenza del sake: se inferiore al 60% è un ginjo o junmai ginjo, se è inferiore al 50% è un daiginjo o junmai daiginjo, se è 70% e c’è alcol aggiunto è un Honjozo. Questa è la storia, ma senza il lieto fine se si dimentica di specificare che cosa siano o non siano il Tokubetsu Junmai ed il Tokubetsu Honjozo. Quando si pensa di essere arrivati a comprendere il sake ecco che saltano fuori dalle righe i Tokubetsu, veri e propri outsiders delle classifiche. Politicamente scorretti? Non direi, piuttosto sono “anarchici necessari” al sistema con cui si devono assolutamente confrontare o, se vogliamo capovolgere i termini, sono le due eccezioni normativamente previste che confermano la regola.