Messaggio dal Giappone.

Giovannisan&Mikikosan

Yoshida Brewery – Prefettura Fukui – Hakuryu

E’ bello e, allo stesso tempo, emozionante, ricevere in questi giorni dal Giappone i tanti messaggi dei produttori di sake.

In questo periodo, ammettiamolo, abbiamo il tempo anche per fermarci a ricordare. Dura sette mesi la produzione di sake. La mattina sveglia alle cinque per andare in cantina e poi subito con energia a lavoro fino alle cinque del pomeriggio, quando torni a casa pensando a cosa farai meglio il giorno dopo. Durante la produzione non c’è domenica o festivo sul calendario. Le fermentazioni non hanno giorni liberi. Da ottobre a maggio si lavora tutti i giorni con entusiasmo, fianco a fianco, per preparare e lavare il riso, cuocerlo e raffreddarlo; nutrire e controllare le fermentazioni; fare il koji; e ancora, pressare il moromi e pastorizzare il sake. E nel frattempo pulire i pavimenti, pulire le tank, pulire gli strumenti e programmare il lavoro di domani. Una volta un Toji mi disse: “Fare il sake è facile, ma un buon sake nasce quando lavori con le persone giuste, che rimangono concentrate sul lavoro e che lavorano per il gruppo. Dobbiamo essere sincronizzati: hai mai visto una gara di ciclismo quando il gruppo pedala compatto, fianco a fianco, a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro? Ebbene ogni giorno per noi è una tappa. Il premio finale sarà produrre un buon sake! E finora ci siamo riusciti!” Sorrise sornione mentre lo diceva.

Se ripenso ai primi passi nel mondo del sake e a tutte le esperienze che ho fatto, posso solo ringraziare le persone di valore che ho incontrato. Persone che hanno scelto di lavorare e crescere nel sake; persone consapevoli delle fatiche del periodo di produzione e motivate a condividerle e a farsene carico ognuno per le proprie forze. Non è una passeggiata, produrre il sake. E’ un lavoro fisico e mentale: sudore e organizzazione. Eppure è un lavoro di gruppo in cui collaborazione, condivisione e rispetto reciproco ne sono i valori fondanti. In una parola è sinergia.

Ringrazio i produttori di sake per la vicinanza espressa con i loro messaggi di solidarietà per la situazione che l’Italia sta affrontando in sinergia.

Il Grande Tempio di Matsunoo di Kyoto.

Tempio di Matsunoo, Kyoto.

Tempio di Matsunoo, Kyoto.

Il Grande Tempio shintoista di Matsunoo, familiarmente conosciuto come Matsuo taisha, rappresenta un punto di riferimento per i coltivatori di riso ed i produttori di nihonshu che qui si recano ogni anno per rendere omaggio alla divinità del luogo. Gli uni e gli altri pregano affinché il loro lavoro quotidiano e la stagione portino i frutti sperati ovvero che il riso prima ed il nihonshu dopo siano di buona qualità. E, quindi, non è un caso, ma un segno significativo, che in tutte le cantine sia sempre presente un Kamidana, un piccolo tempio, che raccoglie le preghiere dei lavoratori e rappresenta un ponte spirituale con i templi in cui ci si reca in pellegrinaggio prima, durante e dopo la stagione. La visita al Tempio di Matsuo taisha è un’esperienza ricorrente da cui un buon produttore di nihonshu non si può esimere, per nessuna ragione al mondo.

Kamidana. Piccolo Tempio.

Kamidana. Piccolo Tempio.

Così come l’acqua è la chiave per un buon sake, la sorgente, che sgorga dalla montagna che sovrasta il tempio di Matsuo-san, è la chiave per entrare in contatto con la divinità e per comprendere la storia del tempio stesso. Si dice, infatti, che l’acqua della sorgente sia un’acqua dai molteplici effetti benefici per la salute e, nell’ottica shintoista, di buon auspicio per la vita di chi, qui, si reca in pellegrinaggio.

Sorgente di Matsuo san

Sorgente di Matsuo taisha.

Il tempio è posto ai piedi della montagna nella zona ovest di Kyoto immerso ancor oggi nell’integrità del bosco secolare,  trova nella tartruga e nelle carpe i suoi simboli identificativi e che sono un chiaro richiamo alla vitalità del vicino fiume Katsura gawa.

La tartaruga e le carpe.

La tartaruga e le carpe.

Fondato intorno al 701, il Tempio di Matsuo san deve la sua costruzione alla volontà del clan degli Hata che qui risiedettero e da qui cominciarono a gestire il territorio e ad organizzarne lo sviluppo urbanistico nonché il governo locale. Nel periodo Muromachi (1336-1573), poi, Kyoto si trovò al centro della vita politica imperiale ed era fulcro di fiorenti commerci tra cui la vendita di tessuti, generi alimentari e nihonshu. Il sake proveniente da questa zona divenne famoso per la sua qualità, tanto che si presumeva benedetto e protetto dalla divinità residente nel tempio di Matsuo-san. Via via nei secoli, questo sake benedetto si fece conoscere anche in zone particolarmente distanti da Kyoto, come, ad esempio, Tokyo dove era apprezzato perché, nonostante il lungo viaggio intrapreso, riusciva ad arrivare inalterato nelle sue qualità. Tra storia e leggenda, si narra che proprio in questa zona si cominciò ad adottare quegli accorgimenti che ancora oggi vengono usati per salvaguardare il sake sia nel momento della produzione sia sopratutto nello stoccaggio e trasporto. Già in quel periodo, infatti, si cominciò a produrre il sake nei mesi invernali perchè permetteva di poter controllare con più precisione le vari fasi di lavorazione delle materie prime e della fermentazione, oltre a preservare il sake da contaminazioni provenienti da eccessive cariche batteriche naturalmente presenti nell’ambiente. Così come sembrerebbe che proprio da questa zona abbia avuto origine quella tecnica, simile alla pastorizzazione, creata per interrompere la fermentazione e meglio conservare il sake in deposito senza che perdesse le sue qualità originarie. La storia del tempio risulta dunque interessante perché riporta a tre passaggi fondamentali della storia del sake: l’importanza dell’acqua sorgiva e del riso che costituiscono ancora oggi gli elementi e la scelta essenziale per la riuscita di un buon sake giapponese; la lavorazione nei mesi invernali e la pastorizzazione per mantenerne inalterate le proprietà del nihonshu sia durante la produzione che nello stoccaggio. E, the last but not the least, il sempre presente collegamento con il divino da cui il nihonshu riceve continua, ora et semper, benedizione (prima, durante e… dopo la fermentazione!)!

Botti di nihonshu omaggio delle cantine al Tempio.

Botti di nihonshu omaggio delle cantine al Tempio.

Da Osaka: arrivare a Umeda per prendere la Umeda Hankyu Line e scendere a Katsura. da Katsura prendere la Hankyu Arashiyama Line fino a Matsuo Eki. La piccola stazione si trova davanti al tempio. Da Osaka ci vogliono 40 minuti circa. Qui un video del Tempio. Qui il sito ufficiale.

 

 

Giappone 2005. Cantina di Sake giapponese. Sakagura.

 

Okamura Honten

Okamura Honten

Quando si dice i casi della vita. Nel 2005 il mio primo viaggio in Giappone mi portò a girare per le più importanti città del Sol Levante, ma anche per le bellissime campagne e le coste oceaniche. In quel momento non sapevo quante volte sarei stato in grado di tornare, ma sapevo che non avevo ancora una idea precisa su come e su dove fosse prodotto il sake giapponese: ero quindi intenzionato ad approfondire. Come dire.. cercavo solo di non farmi mancare niente di indispensabile. Così la mia richiesta di andare a visitare una cantina tradizionale sebbene apparisse un po’ fuori dai canoni fu raccolta ed esaudita. Un cugino giapponese che abita a Shiga ci accolse a braccia aperte e, dopo una breve sosta ristoratrice, ci portò a visitare la mia prima cantina. Il luogo scelto era una cantina non molto vecchia – si fa per dire!- , aperta intorno al 1860 da un trisavolo del signor titolare che ci stava aspettando per condurci, lui personalmente, a fare la tanto desiderata visita. La struttura dall’esterno appariva dipinto di bianco sopra e nero vicino al terreno, un edificio in legno con le classiche linee giapponesi compreso il tetto grigio scuro a spiovente. Quando fummo dentro la prima cosa che mi colpì furono gli odori dolciastri di fermentazioni passate, la temperatura caldo umida e la luce soffusa dei pochi neon presenti nelle varie sale. Insomma, a me che provengo dalle terre del Chianti classico, la mente mi riportò in un baleno alle cantine toscane. Ed infatti, anche se qui c’era il legno alle pareti al posto dei mattoni e delle pietre, le poche luci al neon al posto delle gialle lampadine ad incandescenza, il tempio shinto al posto del Gallo nero e delle sposine, era l’atmosfera storicizzata che faceva nascere inevitabili parallelismi. Ci fu mostrato quindi come il riso viene lavato e molato, messo a riposo, di nuovo lavato, ammollato in acqua, cotto a vapore, disteso e diviso in due parti una parte per il koji e l’altra per la fase successiva, rimesso insieme, ammuffato e lievitato, aggiunto di acqua sorgiva, collocato a fermentare in grosse cisterne, insacchettato, pressato, filtrato, pastorizzato, imbottigliato et…. voilà signori e signore: il sake è servito. Ok ammetto che il procedimento è un poco più lungo e preciso..ma giusto per rendere l’idea e dare un ritmo… Comunque, sebbene l’ospitalità della cantina prevedesse la degustazione finale dei vari sake prodotti, non credo che avessero previsto che io gli chiedessi anche qualcos’altro…. Sapevo che cosa fosse il mosto, lo avevo visto e toccato con mano, ma non avevo mai visto la mistura primordiale che porta al sake: volli salire sullo scaleo per ispezionare le cisterne dove stava il riso in ammollo a fermentare. Sembra una specie di enorme risolatte . La seconda richiesta sorse spontanea: durante la visita, mi fu presentata la pressa antica che da tempo immemore veniva utilizzata per spremere i sacchi di cotone pieni di riso fermentato (moromi) e farne uscire il primo sake: bè basta guardare la foto qua sotto, non mi sono fatto mancare l’assaggio di questo sake che pur non avendo ancora finito il suo viaggio, si lasciava bere…

Kamidama.

Kamidana.

Cisterne

Cisterne

Pressa

Pressa – Fune

Sake - arabashiri

Sake – arabashiri

Sakura

 

 

 

Architetture

Castello di Osaka

Castello di Osaka

Ammetto che le città giapponesi destano un certo stupore “inverso” a chi come me è destinato a vivere in una città immutabile. Quando il mio amico Marco mi propose di andare a fare delle foto di architettura di Osaka. Subito accettai. Marco è un fotografo professionista e seguirlo è sempre un piacere ed una scoperta. L’architettura mi ha sempre interessato anche se – devo confessare – non ho mai affrontato un corso universitario..anche se mi sarebbe piaciuto. Ma ho due fratelli architetti e questo mi è sufficiente. In un certo senso, bilancia. In Giappone hanno una rapidità di movimento architettonico che forse  gli Emirati Arabi invidiano. Da un anno all’altro riesco a vedere quartieri nuovi e città diverse. Quindi la domanda sei stato a Osaka? Ha un senso nei prossimi dodici mesi, ma non è detto che l’abbia per i prossimi. Comunque qui nelle foto vedete il business town (Kyoubashi in Osaka), dove accanto al castello di Osaka si trovano i palazzi del business, per intenderci. Era un giorno ideale per fare le foto, freddo (molto freddo) con il sole. La prima cosa che mi chiedevo era se fare la foto oppure rimanere con la mano al caldo. Poi facevo le foto di cui qui trovate una selezione.  Onorando le scelte architettoniche che, per definizione, sono discutibili. Una bellissima esperienza vissuta tra le strade di Osaka. Ma non l’ultima..

Palace

Palace

Tre Palazzi.

Tre Palazzi.

Tachinomiya

Okaasan

Okaasan

Ogni volta che vado ad Osaka, cerco di trovare da una parte dei luoghi nuovi in cui provare sempre esperienze diverse, ma dall’altra parte cerco di crearmi dei luoghi in cui possa stare tranquillamente in pace come se fossi a Firenze. Diciamolo in modo chiaro ed inequivocabile: Osaka oramai è la mia seconda città. Ma io sono italiano, anzi toscano e quindi in me vive uno strano mix di cultura, tradizione e sincero sentimento popolare…e quindi, seguitemi… Ammetto che la prima volta che sono stato in Giappone giravo a naso all’in sù e a bocca aperta volutamente meravigliato di quello che vedevo. Ero già stato all’estero, ma mai verso oriente. Poi, piano piano a partire dal secondo viaggio ho cominciato a riconoscere i luoghi e a fare delle distinzioni e  a segnare delle preferenze. Tra queste di sicuro c’è un posticino che ad Osaka – non so se sia famoso – ma quando sono solo mi piace frequentare. Lo vedete nelle foto.  Ci vado quando ho bisogno di “staccare”. Cioè un po’ come fanno i salarymen che poi ritrovo lì a bere con me. Solo che loro staccano dal lavoro ed io…mah, non so, comunque mi prendo il mio relax time e sto lì a bere il mio sake Futsu-shu e a guardare il Sumo alla tv. Il Sumo mi è sempre piaciuto nella sua ritualità e dimensione. Dà un certo ritmo anche se guardato alla televisione. Tutto intorno nel locale solo giapponesi e me. Oramai riconosco okaasan, il figlio e la zia, anche se a dire la verità non sono sicuro del grado di parentela…tutti sono molto attenti a quello che succede e veloci nell’esaudire i desideri dei clienti. Un posto che mi ricorda alcuni localini che qui in Italia ho ritrovato su al nord, forse simile a quelli dove a Venezia si fa l’aperitivo (le ombre) o simile anche a certi vinaini di Firenze. Luoghi dove si va dopo il lavoro per incontrare i soliti con cui scambiare due parole, mangiare qualcosa al volo e bere quel tanto che basta per riflettere sulla giornata di lavoro appena passata. Ed io me ne sto lì ad osservare il sumo, okaasan, il figliolo ed i clienti con i quali poi si fa due chiacchere e l’ultimo kanpai prima di rimettersi in strada verso casa con la mitica metropolitana da Osaka station.

Tachinomiya

Tachinomiya

Osaka Station

Osaka Station . Il ritorno.

Onsen

Ogotoonsen.

Ogotoonsen.

Una delle esperienze che non mi faccio mai mancare quando vado in Giappone sono le terme. Devo ammettere che prima di andare in Giappone pensavo che andare alle terme fosse sinonimo di beauty farm ovvero di ricerca di una bellezza tutta esteriore del corpo. Da quando sono stato in Giappone invece ho capito che le terme ti portano molta tranquillità rispetto alle dure giornate di lavoro. Con questo non voglio negare che le terme  abbiano un aspetto curativo legato alle qualità dell’acqua in cui ci si immerge…Certo che no! Quello che voglio sottolineare è che le terme così come le ho vissute in Giappone  sono state una vacanza nella vacanza…un momento di tranquillità. Quando si va alle onsen (terme) funziona così. Prima di tutto si arriva e ci si registra nella hall dell’albergo. Poi si viene accompagnati nella propria camera (ampio spazio provvisto di tatami) da una signora vestita in modo tradizionale che molto gentilmente ci spiega tutto il funzionamento e gli orari delle terme. Io la chiamo: La Signora dell’Ospitalità. Tutto  viene spiegato rigorosamente in giapponese, mentre ci prepara una tazza di tè verde per farci già riposare ed entrare nella giusta atmosfera. Sì perché l’atmosfera di rilassatezza e di accoglienza si insinua fin dall’inizio, con questi piccoli passi. Ora, dopo la prima volta, prima che La Signora dell’Ospitalità ci lasci, io le chiedo subito se posso avere uno Yukata più grande..il più grande che hanno..uno Yukata-Sumo…. Eh sì perché quando arrivi ti devi spogliare dei tuoi vestiti e devi indossare uno yukata … E’ una specie di kimono molto comodo e pratico per stare alle onsen. Il fatto è che lo yukata è molto elegante se indossato per bene. Però io che sono piuttosto alto, ho sempre il problema con le misure nel senso che le maniche ed il vestito mi sta sempre un po’ corto..insomma uno yukata a maniche corte. Trovata la misura più grande di yukata, si va alle terme che sono divise per uomini e donne. Anche se in qualche caso possono essere in alcuni orari unite per uomini e donne. Spesso si invertono: quelle che sono per uomini durante il giorno diventano per le donne durante la sera e viceversa. Si entra e per prima cosa ti devi spogliare. Tutto. Non ci sono né se e né ma. Ti devi denudare. Come un pesce…lo avete mai visto un pesce con il costume? no, e allora… ti spogli. E lasci i tuoi abiti nei cestini che ci sono nella saletta prima delle terme. Non c’è pericolo che qualcuno tocchi la tua roba…siamo in Giappone. Apri la porta da cui accedi direttamente dove ci sono le vasche per l’immersione nelle acque calde. Ma, prima di buttarsi nelle vasche, bisogna lavarsi. Penso, ma non lo so, in segno di rispetto oltre che per una sana regola di igiene. Insieme alle vasche con l’acqua calda si trovano tutto intorno alla stessa sala dei rubinetti con delle docce e dei piccoli sgabelli su cui sedersi mentre ci si lava. Una volta che ti sei lavato sei pronto per immergerti nelle vasche che hanno diverse temperature..ma per me sono sempre molto calde. Più o meno la temperatura si aggira tra i 38 ed i 40 o 42 gradi..insomma è calda!..in alcuni stabilimenti ci sono delle vasche che sono situate all’esterno e sopratutto d’inverno sono FAVOLOSE.  Ah! mi raccomando il tutto va fatto in rigoroso silenzio o quasi..non vi mettete ad urlare o sbraitare…e non buttatevi in acqua. Non rompete l’incantesimo, ma immergetevi piano piano. Comunque, dopo il riposo nelle acque termali, il programma prevede di tornare nella camera dove Le Signore dell’Ospitalità ci hanno già preparato il tavolo per la cena. In alcuni casi invece ci sono delle salette che sono riservate solo a noi per cenare. Sono tutte e due opzioni di prima scelta, di buona scelta. Quindi si comincia a mangiare prima gli antipasti e poi su..su..su con tutte le prelibatezze locali. Infatti, a seconda di dove ti trovi, ti preparano i piatti migliori del luogo. Dipende da dove sei in Giappone. Dopo cena il programma prevede un’ultima immersione per conciliare il riposo notturno. Il rituale è quello della prima immersione: ti spogli ti lavi e ti immergi. E ti rilassi. Quando torni in camera, Le signore dell’Ospitalità hanno già provveduto a sistemare tutto e a preparare il futon (sì perchè si dorme sul futon!). E sogni d’oro!! La mattina presto infine ci attende l’ultimo bagno per rafforzare un’ultima volta il corpo, ma sopratutto lo spirito che quasi subito di queste terme sentirà la nostalgia…A presto!!

Spogliatoio

Spogliatoio

Sgabellini

Sgabellini

Terme

Terme – Onsen

Terme

Terme – Onsen

Terme - Onsen

Terme – Onsen

 

Nikko

 

 

Nikko. Particolare.

Nikko. Particolare.

 

Uno tra i luoghi più interessanti del Giappone si trova a circa un’ora e mezzo da Tokyo, verso nord. Immerso nel verde si trova Nikko. Insisto sul fatto che è immerso nel verde perché la prima volta che ci sono stato, avevo passato quasi due settimane immerso nel ritmo quotidiano delle metropoli giapponesi diviso tra Tokyo ed Osaka. Ero letteralmente “affollato” nell senso che ero affogato nel mare di folla che ogni giorno popola le metropoli. Quindi un luogo di tranquillità era un buon rimedio. Avevo bisogno di ricaricare e Nikko serve a questo scopo. Templi, Natura e Storia che vuoi di più? Il cavallo bianco ed una serie di simpatici ed energici cacciatori di spiriti maligni (vedi nelle foto). Mi sono sempre piaciuti gli spiriti di Guardia che sono pronti a cacciare via gli spiriti cattivi. Dopo sono tornato ad Osaka più tranquillo. L’unica cosa che non posso farvi sentire è il verso del Drago che si può sentire in uno dei templi (non scherzo). Nelle foto di sopra vedete i due leoni santi. Se non ricordo male uno dice “Ah” e l’altro gli risponde “Uhmm” e rappresentano l’alfa e l’omega dell’universo..quindi attenti e portate rispetto..così come bisogna avere un certo rispetto delle due statue qui sotto che sono poste all’ingresso del Tempio per respingere le negatività del mondo da questo luogo sacro, Nikko appunto.

Nikko. Guardiani.

Nikko. Guardiani.

Nikko. Vero Cavallo Bianco.

Nikko. Vero Cavallo Bianco.

Ristorante. Zen.

 

ZEN5414

Uno Zio giapponese ci offre un pranzo in un ristorante che non esisteva ancora in Italia. Un ristorante Zen. Lo Zio non viene con noi, ma ci prenota un posto per rimanere soli e ancora di più nello spirito. E siamo rimasti soli, pensando anche a lui. La presentazione e la cura nei tempi armoniosa. La sala non trova nel mio immaginario niente di paragonabile, eppure dopo un primo momento di sgomento, mi sono seduto. Sul tatami. I tavoli esposti tutti verso la vetrata, ampia. Fuori il verde e dentro il sibilo delle voci degli altri ospiti.  Il mangiare una ricca cornice. Parlando a bassa voce per rimanere in sintonia.

 

zen5419ZEN5413

 

 

Una storia recente

scimmie5380

Nikko Toshogu Shrine – particolare.

Chi mi chiedesse se prima del 1998 avessi anche la minima sensazione di conoscenza del Giappone come nazione, popolo o semplicemente territorio, risponderei con molta sincerità di no. Non conoscevo la storia di quella nazione a parte quei pochi tratti che ce la fanno incontrare nei libri di scuola studiando il secondo conflitto mondiale. Non ne conoscevo la cultura popolare, se non per quei luoghi comuni e sterotipati che si concludono nelle tre figure di Samurai, Gheisha e sushi. E, comunque, anche in questi casi era meglio non approfondire. Ed infine, non ne conoscevo..no! anzi, in geografia me la cavavo, e quindi, se non altro, ne conoscevo l’esatta ubicazione geografica! Magra – quanto solidissima- consolazione. Quando, poi, nel vicino 2004 ho affrontato il mio primo viaggio in Giappone, ho potuto constatare che la mia conoscenza della geografia era corretta (santa consolazione!) e che la mia ignoranza era epocale (nel senso che abbracciava tutte, ma proprio tutte, le epoche di quel paese). A dire il vero, avevo cercato di informarmi prima di arrivare sul suolo nipponico. Come tutti i viaggiatori di questi tempi, avevo raccolto informazioni, esperienze e curiosità su internet cercando di farne un sistema razionale e coerente.  D’altro canto, ero molto combattuto tra la voglia di conoscere tutto prima e quella voglia di potermi stupire ancora difronte a qualcosa che non si conosce. E poi, diciamocelo chiaramente si può vivere anche nell’ignoranza, anche se si sta un po stretti a volte…spesso…

Poche parole..

sake924

Sake – Michiba Restaurant, Ginza Tokyo

C’è un antico proverbio orientale che dice “Invece di molte parole, meglio poche. Invece di poche parole, meglio il silenzio”. In Toscana, senza troppi romanticismi e con quel classico sarcasmo che ci ricorda di essere un po’ maledetti, diremo che ci sono occasioni in cui una parola è poca e due sono troppe. La prima volta che mi sono recato in Giappone essendo totalmente a digiuno della lingua che mi circondava spesso, ma anche volentieri, mi sono ritrovato a confrontarmi con il mio silenzio che era tutt’altro che espressione di una assenza. A dire il vero, anche oggi che capisco un poco di più della lingua nipponica, preferisco spesso cedere il passo all’ascolto, quasi fosse un esercizio per non dimenticare che nella comunicazione se non si è pronti al primo passo meglio lasciare perdere.