Sake diversi. Le classificazioni. (Parte prima)

Riso (courtesy by Tomita shuzo)

Yamadanishiki (courtesy by Tomita shuzo)

Parlando di nihonshu, occorre adesso sviluppare un argomento fondamentale: le diverse classificazioni e categorie che questa bevanda comprende a seconda del punto di vista che assumiamo. Beninteso che qui non si vuole dare assolutamente un giudizio di merito sui differenti sake giapponese. L’intento è invece quello di dare altre informazioni che possano completare il quadro che siamo andati a delineare o semplicemente migliorare la conoscenza del nihonshu. I diversi angoli visuali ci serviranno come punti fermi per tracciare le coordinate per distinguere un nihonshu da un altro.

Riso Tamasakae (courtesy by Tomita shuzo)

Riso Tamasakae (courtesy by Tomita shuzo)

La prima macro deriva dal Tokutei Meishoshu, la classificazione che dal 1992 è il riferimento normativo che disegna un quadro distintivo sia per gli addetti ai lavori che per i consumatori. In questa classificazione vengono, infatti, stabilite le caratteristiche proprie dei cosiddetti Premium sake per distinguerli dagli altri, chiamati Futsushu (sake ordinari). Nello specifico, per Futsushu si deve intendere un tipo di nihonshu in cui oramai è invalsa la dicitura globale di “sake da tavola” o “comune” con caratteristiche di lavorazione più libere e meno severe: il produttore non è tenuto a nessuna specifica sull’etichetta non esistendo alcuna prescrizione né a riguardo alla quantità di alcol da aggiungere né circa al tipo di riso o al metodo di produzione da utilizzare. D’altro canto i Premium sake rappresentano, invero, solo il 30% circa dell’intera produzione nazionale e per poter essere definiti tali devono essere prodotti con un riso selezionato e certificato, previa molatura o raffinazione dello stesso (seimai); il komekoji – il riso saccarificato – deve essere pari almeno al 15% del peso totale del riso utilizzato; ed, infine, l’eventuale alcool aggiunto deve essere inferiore al 10% del peso totale.

Komekoji (courtesy of Honda Shoten)

Komekoji (courtesy of Honda Shoten)

All’interno dei Premium sake bisogna, poi, distinguere in due grandi famiglie (i Junmai e gli jozoshu) a seconda che nella produzione di nihonshu sia presente solo alcol da fermentazione di riso (oltre naturalmente agli altri ingredienti quali riso, acqua, lieviti e komekoji) oppure si abbia una aggiunta di alcol etilico nel moromi prima della pressatura. Per cui avremo una denominazione sempre accompagnata dal termine Junmai nel caso in cui non vi sia aggiunta di alcol etilico. Viceversa, ovvero laddove vi sia anche l’aggiunta di una piccola parte percentuale di alcol etilico (inferiore al 10% del peso totale del riso utilizzato), avremo le stesse diciture della prima famiglia senza che però compaia la parola Junmai. Quindi ciò che fa la differenza è la presenza o meno della parola Junmai: in sua assenza avremo un nihonshu con una ulteriore integrazione di alcol etilico. Sul valore di questa aggiunta di alcol rispetto agli altri ingredienti si è aperto un vero e proprio dibattito tra i cultori del nihonshu, ma basti, qui, dire che le ragioni che portano a scegliere l’uno o l’altra sono anche legate all’area di gusto e agli aromi che il produttore vuole creare con il proprio nihonshu. L’alcol viene infatti aggiunto a fine fermentazione per preservarne aromi che altrimenti sarebbero volatili.Quindi, per il consumatore, Junmai o non Junmai questo è il dilemma. L’unico escluso da questo contesto rimane il Futsushu che, anarchico e libero, può o meno avere una aggiunta di alcol senza che nessuno si disturbi nel segnalarlo in etichetta o…nel berlo e gustarlo…

Riso Yamadanishiki raffinato al 40% (courtesy by Tomita shuzo)

Riso Yamadanishiki
raffinato al 40% (courtesy by Tomita shuzo)

Quindi abbiamo detto due famiglie:  Junmai e  jozoshu. Il Tokutei Meishoshu distingue poi otto tipi (quattro Junmai e quattro jozoshu) di sake , a seconda del grado di raffinazione (seimaibuai) che subisce il riso nel primo passaggio di lavorazione in cantina, il seimai. In questo caso parleremo di Junmaishu per un seimaibuai pari al 70% o superiore non essendoci alcuna prescrizione; un Honjozoshu con un seimaibuai pari al 70%; un Junmai Ginjo e Ginjo per seimaibuai tra il 60% ed il 50%, un Junmai Daiginjo e Daiginjo per un seimaibuai pari o inferiore al 50% (con le tecnologie di oggi si arriva fino anche al 35% di raffinazione). Rimane il Tokubetsu Junmai che, come il Junmaishu, non ha l’obbligo di avere un minimo di raffinazione anche se solitamente siamo sotto o pari al 60%. La dicitura Tokubetsu meriterà un capitolo di approfondimento per ora basti sapere che indica una scelta effettuata dalla cantina di portare sul mercato un tipo particolare di sake che non rispecchia i canoni del ginjo anche se può averne lo stesso valore di semaibuai. Attenzione a non confondere: il termine Junmai indica una caratteristica del sake cioè che non c’è presenza di alcol aggiunto, come abbiamo testè spiegato; mentre Junmaishu riporta ad un tipo a se stante di nihonshu in cui  il riso ha subìto una raffinazione del 70% o superiore.

Riso Tamasakae (courtesy by Tomita shuzo)

Riso Tamasakae  raffinato all’ 80 % (courtesy by Tomita shuzo)

E allora e per finire due famiglie: Junmai  e  jozoshu. Otto tipi in ordine decrescente per valore di seimaibuai : Junmaishu; Tokubetsu Junmaishu; Junmai Ginjoshu; Junmai Daiginjoshu. E per i secondi: Honjozoshu; Tokubetsu Honjozoshu; Ginjoshu e Daiginjoshu. (continua…)

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